A oltre 40 anni di distanza dalle lunghe notti in cui Gary Gygax architettava un modo per cambiarci (in meglio) la vita, ci ritroviamo spesso a domandarci se giocare "old school" equivalga a essere fottutamente nostalgici (ricordi adolescenziali) o drammaticamente realisti (si stava meglio quando si stava peggio).
Un pò tutte e due, direi.
Sono sempre stato un ribelle. Anche stavolta, faccio le cose a modo mio: parto al contrario. Iniziamo dal "peggio". Dalle ragioni per cui le masse detestano la vecchia scuola, odiano i giochi DM-centrici e credono che Dark Souls sia... troppo cattivo.
Il vecchio D&D è: sbilanciato, arbitrario, mortale, rigido, eterogeneo. Ecco, 5 difetti.
O pregi?
Un pò tutte e due, direi.
Sbilanciato
C'è chi sostiene che il fantasy debba essere sempre e comunque un'accozzaglia di cose assurde e... fantasy. C'è poi chi si sforza di dargli un profilo di realismo e la prima squadra taccia come idiota: perché, citando i social, ogni volta che qualcuno cerca il realismo in D&D muore un panda.
La verità è che il fantasy non deve necessariamente essere realistico, ma deve essere credibile. Credibile in sé stesso. Passabile, come la bionda amica di quella che ti piace alle superiori.
Nel suo sistema interno, è perfettamente logico pensare che in ogni piccolo tratto della lunga strada dell'avventuriero, ogni membro di un gruppo ha il suo momento da rockstar. Laddove il guerriero da il meglio nelle prime fasi con la sua elevata capacità di sopravvivenza e qualche colpo da orbo, il ladro compie una folle scalata tra i livelli, salvando il gruppo da trappole e pericoli altrimenti impercettibili.
Poi succede che arriva Merlino che lancia una palla di fuoco e qualche simpatico incantesimo di interdizione e, da solo, smonta un dungeon. E qui si anima il sindacato del bilanciamento, l'ordine degli avventurieri equilibrati.
Purtroppo o per fortuna, uno degli elementi portanti del fantasy è la magia, che si tratti di creature misteriose o topi di biblioteca chini su tomi polverosi. La magia comporta scelte difficili e una lunga serie di rinunce.
Il mago sacrifica gran parte delle sue chance di stare simpatico a qualcuno, succhiando metà delle risorse del party come un parassita, cercando protezione in ogni angolo. Lancia il suo Dardo Incantato e si va a nascondere, cercando di compiere la cecchinata del secolo coi suoi spaventosi dardi a mano.
A circa metà della vita del gruppo (e quindi al sesto o settimo personaggio cambiato), il mago sarà probabilmente ancora vivo (a discapito dei suoi eroici compagni di viaggio) e finirà per risolvere gran parte delle situazioni da solo, tra mirabolanti frecce arcane, scudi invisibili e velocità sovrannaturale. Un tocco qua, un'esplosione di la e la stanza è ripulita. Lui è la star dello show.
Questa strana alternanza dei ruoli è parte del sistema fantasy: non c'è ragione per cui ogni classe dovrebbe, in ogni momento, avere lo stesso peso. Esisteranno sempre i campi di battaglia in cui il guerriero armato di alabarda potrà brillare di luce propria e ci sarà sempre una città da svaligiare, così come abbonderanno le ferite da guarire. Ma chi usa la magia, finirà per ottenebrare il resto del gruppo.
Basta comprendere da subito che è un inevitabile volto della medaglia. Non è un difetto, ma una caratteristica.
Arbitrario
Qui è più difficile, ma posso farcela.
Il vecchio D&D, come molti altri giochi di ruolo fino agli anni 90, erano caratterizzati dalla strana tendenza a ritenere il dado più importante dei numeri sulla scheda. Eccezion fatta per variabili estreme e livelli elevati, gran parte delle avventure saranno mutate pesantemente dalla fortuna. Un elemento assai estraneo ai giochi altamente personalizzabili di ultima generazione.
Anche qui, la verità è più complessa di ciò che appare: l'apparente assenza di controllo deriva sempre dall'imperfezione offerta dal DM inesperto o da un gruppo scriteriato. Un party bilanciato di giocatori intelligenti, sa far volgere a proprio favore le situazioni. Sebbene il vecchio sistema, nel contesto degli anni 70-80, non fosse particolarmente incline alle varianti on the fly, non ci volle molto affinché i DM comprendessero che il loro potere non era solo il diritto di vita o di morte sui giocatori: potevano conferire bonus, descrizioni che andassero a coadiuvare l'azione di gioco in modo attivo e non solo estetico.
E' evidente che l'intento degli autori non fosse quello di offrire una linea retta di mostri da assassinare brutalmente, ma una miriade di situazioni scomode e del tutto fuori registro, che spingessero in qualche modo i giocatori a riflettere e giocare i propri ruoli con costanza e raziocinio.
Ciò che attivamente muta le probabilità di vittoria è l'acquisizione di oggetti magici e la crescita: più si avanza, meno la fortuna impatta sul gioco. Avere una spada +3 non è un elemento secondario e opzionale: è una parte significativa del gioco. Si considera che il personaggio l'abbia sudata sputando sangue e perdendo numerosi compagni. Il D&D non si preoccupa di descrivere accuratamente le ferite sotto l'armatura, ma fa sì che le azioni del personaggio incorporino il dramma e il cammino epico in egual modo.
L'arbitrarietà è la nemica delle scelte automatiche: sapere che il dado è più potente di te, ti porta a pensare - in gioco - che un certo pericolo potrebbe non essere affrontabile, senza le dovute precauzioni... e ciò da adito a nuove avventure, nuove missioni per trovare una via d'uscita.
Per cui, la parziale assenza di controllo sul sistema è di fatto ciò che rendeva molto semplice creare una scheda e molto difficile concentrarsi sui numeri: il gioco di ruolo ne guadagna, poiché l'attenzione si sposta sulla paura della morte e sulla necessità di interagire col mondo in modo creativo e astuto al fine di non morire.
In questo era quasi una sfida tra DM e giocatori, mascherata da avventura. Né un pregio, né un difetto: anche qui, solo una caratteristica.
Vi invito a seguirci per la parte II, dedicata agli altri "difetti" dell'old school... fino all'agghiacciante colpo di scena finale!
Stay Dark
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