lunedì 3 ottobre 2016

Dark Dungeons II: 5 Motivi per giocare Old School (Parte II)

Nel precedente (e primo) articolo della serie DD ho introdotto le ragioni per giocare vecchia scuola e perché queste ragioni siano tutt'ora un buon motivo per gettarsi nelle braccia della morte.
Ho citato Dark Souls nell'ambito videoludico come riferimento ideale ed è proprio dalla "firma" di questo titolo che ripartiremo: il terzo punto che avevo annunciato, infatti, era la mortalità.

Mortale
Su questo aspetto si potrebbe discutere per un paio di millenni. Purtroppo per i master carini e coccolosi della next gen, la vera discriminante tra coinvolgimento e mera procedura meccanica è la morte. La paura atavica dell'essere umano (sì, ce l'hai anche tu che sostieni di non averne) è la madre di ogni dubbio, il faro oscuro che ci spinge a credere in qualcosa.
Nel GdR di stampo fantasy classico, la mortalità è un aspetto importante, non per la frequenza con cui scompaiono gli eroi (Martin esagera, a mio avviso, nda), ma per la probabilità elevata che ciò accada. Potreste essere un gruppo fortunato e superare i primi livelli e conquistare un regno, ma è proprio l'incertezza che spinge i giocatori a muoversi con cautela.

Le schede non sono di aiuto: gli attributi tendono a non mutare nel tempo, i bonus aumentano lentamente e le abilità secondarie (come gli incantesimi o le abilità da ladro) da sole non risolvono nulla. Non è un gioco di "numeri". L'old-school senz'altro privilegia la fluttuazione e il caso: è altamente probabile che molti scontri nei primi livelli si riducano a una serie di mancati frustrante, ma è parte del gioco. Sta al DM creare situazioni specifiche e introdurre variabili interessanti.



Ciò che conta. è che l'incertezza del risultato è quanto di più semplice e spaventosamente efficacie si possa espandere per far sì che i giocatori non si gettino a capofitto in un incontro perché "tanto ce la facciamo", ma riflettano sulla scena in game e pensino, anche nel contesto di gioco più brutale, sul come uscirne sulle proprie gambe.

La mortalità è dunque un collante tra credibilità e ritmo di gioco, tra narrativa e sistema. Senza contare che la progressione finisce per essere un doppio premio, poiché non si compensa solo il terrore dei primi livelli con dei fantastici punti ferita aggiuntivi, ma si premiano i giocatori per l'acume e il buon gioco. E' un "traguardo" in sé il livello, che acquisisce un layer ulteriore di profondità se diviene anche un traguardo morale.

In molti si ricorderanno (o conoscono probabilmente) i mirabolanti moduli di Gary Gygax, le avventure con le "trappole che se non le vedi ti uccidono" e gli sguardi mortali della Strega del Mare. Sono meccaniche appropriate? Lo sguardo che uccide, intendo...





Quanto ha senso che un personaggio di 12° muoia perché ha incontrato lo sguardo di una strega? Questo è un argomento futuro che approfondirò con cura, ma in questo contesto rispondo sicuro di me: sì, è una figata. Non perché accada. Non perché il master debba farlo accadere per forza: ma la sola idea che possa accadere da un momento all'altro è sufficiente per insinuare nei giocatori quel senso di insicurezza che carica positivamente, la paura che mette sull'attenti. "Si dice che se guardi una strega negli occhi muori dalla paura" dice poco, se le regole non supportano questa tesi. Quando vedi (ed è ciò che è accaduto al mio tavolo in AD&D 1st ed. qualche giorno fa) 4 persone a cui tenevi morire in quel modo, ci pensi due volte prima di avvicinarti e ti ingegni.


La mortalità, il grande "difetto" dell'old school è il pregio migliore di uno stile di gioco narrativo.


Rigido
Oltre all'inevitabile rigidità del rigor mortis, l'old school riporta questa caratteristica. La rigidità di "razze come classi" o di un avanzamento estremamente specializzato produce spesso orticaria nei giocatori viziati. Ma anche qui, non si tratta di una concezione "vecchia". Si tratta di un approccio "classico" che ha il suo fascino.

I sistemi moderni ci abituano all'ibridazione assoluta, strumento utile e divertente in contesti eroici: il guerriero con un pò di incantesimi, il ladro con un pò di incantesimi, il mago con lo spadone. Tutto fichissimo e funzionale ai sistemi... Ma si perde il fascino dell'idea di una "classe" come "complesso cammino professionale/razziale". Essere un guerriero, nel dark fantasy delle prime edizioni, significava investire grande fatica nell'addestrarsi nell'uso delle armi e di armature scomode. Se vuoi andare in giro con l'armatura di cuoio a rubare danari alle vecchiette, non sei un guerriero, è evidente.


Al tempo stesso, se vuoi brandire asce enormi in full plate in un mare di interiora, non sarai un mago.
La vita di un avventuriero nell'old school è paragonabile alla carriera professionale del post medioevo occidentale. Un guerriero inizia ad addestrarsi a 9 anni e morirà prima dei 20 se va in guerra... Chi campa a lungo arriva a 35 anni. La prospettiva di vita è bassa e la dedizione necessaria per essere valido nel proprio per corso è immensa, specie perché l'idea di "progressione" era tarata su ritmi lenti e pesati, differenziati per classe in base al potenziale di ogni range.

Per esempio, il mago passa lentamente e finirà per essere il più lento, laddove il guerriero potrà (a parità di avventure) raggiungere anche due livelli in più. Questo perché l'apprendimento di uno studioso è lento e l'esperienza appresa si lega più a contesti diversi dal mero combattimento. 




La rigidità dell'old school è un punto di forza, perché ravviva il senso di appartenenza a una classe intesa come scelta di vita. Sin dall'AD&D si osservano opzioni come il Multiclassing o il Dual classing, che aprono la strada a quelle che poi saranno le famigerate "build", sebbene fosse comunque totalmente diverso nella concezione.

Il neo che molti potrebbero percepire è che una compagnia di ladri, senza appropriate house rules, vedrà tutti personaggi pressoché identici... Stesso dicasi di una compagnia di guerrieri, che potrebbe presto diventare insensatamente noiosa. Al tempo stesso, la concezione di gioco dell'epoca enfatizzava i ruoli: ne Il Signore degli Anelli si superano le difficoltà poste poiché, a momenti alterni, ogni membro della compagnia impiega le sue "arti" per uscirne al meglio.
Gli avventurieri, nel fantasy post-medievale classico, cercano compagni con capacità diverse: si associano con soggetti moralmente anche lontani da loro purché offrano al gruppo protezione, sostegno e abilità necessarie per sopravvivere alle rovine di turno o all'intrigo di palazzo cui un lentissimo guerriero potrebbe non saper partecipare.

Rigidità come espressione di appartenenza, dunque.



L'esempio lampante è quello dei Ladri, probabilmente. Tutti si sono sempre chiesti "ma un guerriero non può tentare di muoversi silenziosamente?" Certo, si direbbe. Ni, dico io. Può tentare, ma la sua plate gli impedirà di farlo. E se si spoglia per farlo, glie lo impedirà il decennio investito a migliorare le sue arti di combattimento, sacrificando tutto il resto.
Il ladro nel classic D&D è un soggetto estremamente fragile, le cui capacità reali e concrete sono solo quelle di fare tutto ciò che gli altri non possono fare, usando una serie di abilità specifiche (come Pick Locks o Move Silently). Diciamo che un master dotato di cellule grige consente a tutte le classi una probabilità di riuscita, pari senz'altro (e non oltre) a quella di un ladro di 1° livello: nel corso della carriera, però, tutti finiranno per essere meno capaci di lui.
Anche un Mago può colpire alle spalle qualcuno uscendo da un'alcova, ma non ha la perizia per assassinarlo come può un ladro col suo Backstab!
La specializzazione non è nemica del singolo giocatore, è uno strumento per rendere le compagnie il più equilibrate possibile e far sì che ogni personaggio si distingua dagli altri in modo sostanziale.

Personalmente sono un fan della personalizzazione, ma devo dire che ritrovarmi con opzione ristrette può essere un mezzo per calzare la mano su altri aspetti e persino una fonte di ispirazione.



Posso comprendere lo scoramento di qualcuno dei giocatori meno avvezzi nei confronti delle "razze come classi" (nel classic D&D un "Elfo" è un "Elfo", ovvero un essere boschivo capace di combattere e lanciare incantesimi). In quel contesto, ricordate, le razze erano molto separate l'una dall'altra ed erano una minoranza effettiva. Una razza semiumana cresce nel proprio contesto e non ha velleità alcune, poiché le capacità affini a quelle delle classi per gli umani (come la capacità di lanciare incantesimi degli Elfi o la furtività degli Halfling) sono integrate nel loro stile di vita.
Fatto sta che molti sistemi come Basic Fantasy Roleplaying (di cui parleremo a lungo) utilizzano l'approccio dell'Advanced, dove iniziarono a distinguersi Razze e Classi e persino Labyrinth Lord presenta, con l'Advanced Edition Companion, questo approccio (preservando però il feel del B/X).

In definitiva, suggerisco di aprire gli occhi e dimenticare in fretta i vizi cui siamo abituati: considerate certe "limitazioni" come una caratteristica del genere e sfruttatela al meglio per offrire un'esperienza dal feel unico in cui ogni percorso individuale è costellato di scelte e rinunce.

Conclusioni
Si conclude qui questo piccolo viaggio nei pregi/difetti dell'old school. Ho cercato di mostrarvi come gli apparenti limiti siano di fatto un tratto distintivo. Non si può accusare il ragu di avere la carne, così non si può accusare Final Fantasy di essere "troppo giapponese": non si tratta di malus, ma di mere caratteristiche.

L'approccio al gioco classico non è un covo per nostalgici: si tratta di un'alternativa reale, un modo di introdurre vecchi e nuovi giocatori a un mindset appropriato, in cui la difficoltà, la mortalità e la rigidità strutturale siano elementi che li spingano a riflettere di fronte a ogni situazione e a giocare di ruolo prima di tirare i dadi.


A presto con nuovi articoli, in cui cercherò di mostrarvi le caratteristiche di questi sistemi e le infinite possibilità di personalizzazione, attraverso meccaniche semplici e intuitive.

Nel frattempo, iniziativa!
M.



5 commenti:

  1. Hai espresso precisamente il mio pensiero! Sono giocatore e DM dal 1992 e hai citato proprio le caratteristiche del D&D "classico" che mi sono sempre piaciute.

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    1. Grazie mille Yuri. Sono felice di poter condividere queste sensazioni, anche perché credo siano del tutto attuali e riproponibili anche a un pubblico giovane!

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  2. Sì, ho "masterato" alcune volte Labyrinth Lord per neofiti e giocatori abituati a gdr moderni. I primi sono rimasti favorevolmente impressionati e durante il gioco hanno tirato fuori ottime idee , i secondi un po' meno perchè purtroppo oramai abituati a considerare i numeri sulla scheda più importanti di tutto il resto.

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    1. E' una patologia comune. :) Sorprende però proprio questo, come il fascino ancestrale di giochi estremamente proibitivi e pericolosi sia di gran lunga più efficace e seduttivo di modelli più "modern".

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  3. Ciao Marco,

    Ho letto del tuo blog tra i commenti ad un post di Roberto su FB e mi sono stupito dei tanti punti in comune col mio pensiero. Ti aggiungo agli amici dell'Orto del Grognard (in particolare il mio post "Lo spirito di D&D con un D6 in tasca")

    Continua così!

    www.ortodelgrognard.blogspot.com

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